dicembre 2007

CRITIC FOR CRITIC'S SAKE


La provocazione vera è la parola.
[...] L'esercizio della critica, oltre ad essere la cosa più inutile del mondo (nell'arte c'è poco da capire, ma soprattutto non c'è niente da spiegare), si riduce ad essere la ripetizione di una consuetudine, di un obbligo (non si capisce verso chi o verso cosa: il pubblico? L'arte? La critica? Magari gli stessi autori?) imposto da una convenzione aberrante.
Non solo chiunque può scrivere su qualsiasi autore (alla faccia della critica intesa come esercizio parallelo alla creazione artistica, o del critico presentato come "compagno di strada" dell'artista), ma qualsiasi testo può essere riconvertito, riciclato, riutilizzato, per "commentare" qualsiasi cosa.
[...] Di fronte all'esibizione di modi - che non si possono che presupporre autentici - di percepire la realtà che ci circonda, di raccontare le proprie emozioni, magari i propri disagi, non c'è testo che tenga, non c'è parola capace di sintetizzare la sublime incompiutezza dell'opera.

(Tratto e riciclato dal testo critico di una mostra precedente: “ABUSO”, firmato “Flipper”)

Il nostro intervento (una falsa pagina pubblicitaria stampata) si compie, nella sua forma e giustificazione, all'interno del catalogo della mostra/ricerca “The word is yours. Le parole più usate nella semiosfera dell'arte contemporanea”, progetto che si prefigge di capire quanto il proliferare del discorso critico sull'arte influisca sulla natura stessa della pratica artistica e quanto questo discorso possa avvicinare o allontanare il pubblico dalla piena fruizione dell'opera.
In questo senso, l’arte è discorso in divenire, ma anche il divenire dell’arte è discorso. Un’ontologia ermeneutica, un fluire traboccante di segni e iscrizioni generato dal continuo processo di decodificazione prodotto dagli addetti ai lavori attraverso il confronto, la critica, la divulgazione e la pubblicizzazione dell’arte.

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